Cassa per il Mezzogiorno , 10 agosto 1950 - 6 agosto 1984 |
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Livello di descrizione | fonds |
storia istituzionale/biografia | La Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno) fu istituita con legge 10 agosto 1950, n. 646. Ma non dall'art. 1 della legge, che pure era intitolata alla sua istituzione, bensì dall'art. 2. Preliminare fu la definizione dell'obiettivo del poderoso intervento legislativo e dell'organismo politico che l'avrebbe governato: un Comitato di ministri (agricoltura e foreste, tesoro, industria e commercio, lavori pubblici, lavoro e previdenza sociale) presieduto dal Presidente del Consiglio o da un ministro da lui designato avrebbe formulato "un piano generale per la esecuzione, durante il decennio 1950‐60, di opere straordinarie dirette in modo specifico al progresso economico e sociale dell'Italia meridionale". Si elencavano i settori di intervento nei quali l'intervento si sarebbe attuato: sistemazione dei bacini montani e dei relativi corsi d'acqua, bonifica, irrigazione, trasformazione agraria, viabilità ordinaria non statale, acquedotti e fognature, impianti per la valorizzazione dei prodotti agricoli e opere di interesse turistico. Questi interventi dovevano considerarsi aggiuntivi rispetto a quelli "ordinari" che le stesse amministrazioni avrebbero continuato a svolgere nel Mezzogiorno. Da questo fondamentale incipit emerge subito la prospettiva di medio periodo (dieci anni, poi portati a dodici con la legge 949 del 1952 e a quindici con la legge 634/1957) che si prefiggeva l'azione di governo per far decollare il reddito agrario del Sud d'Italia e dotare il territorio meridionale di una infrastruttura generale (strade, porti, ferrovie) che superasse una storica arretratezza e potesse fungere da premessa per lo sviluppo del settore secondario nel contesto di un decollo industriale del paese. La legge esplicitava quindi il ruolo di organismo tecnico-operativo della Cassa assegnandole il compito di predisposizione dei programmi, finanziamento ed esecuzione delle opere previste dal piano. La Cassa avrebbe avuto personalità giuridica propria e sede a Roma. Il territorio di competenza era quello delle sette regioni meridionali oltre a parti del Lazio (province di Latina, Frosinone e parte di quella di Rieti), delle Marche (valle del Tronto) e all'isola d'Elba (dal 1955 anche all'isola del Giglio, dal 1956 all'isola di Capraia). La Cassa era governata da un presidente designato dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e da un Consiglio di amministrazione di nomina governativa, in carica per un quadriennio, composto da dodici persone che dovevano rispondere al vago principio di essere "particolarmente esperte". Furono presidenti della Cassa Ferdinando Rocco fino al settembre 1954, Gabriele Pescatore fino al settembre 1976, Alberto Servidio fino al luglio 1978, Gaetano Cortesi fino al gennaio 1981, Massimo Perotti fino alla messa in liquidazione nell'aprile 1984. La disponibilità iniziale della Cassa ammontava a 1000 miliardi di lire da spendere in dieci anni (è stato notato che corrispondevano a un tredicesimo del PIL del 1951), poi portati a 1280 con l'estensione dodecennale. Per la prima volta nella storia italiana, sia pure in tempi e modi successivi, fu concepito un quadro generale di interventi che comportava l'esecuzione di complessi organici di opere destinati a risolvere globalmente i problemi dello sviluppo, nei molteplici aspetti dell'assetto territoriale, delle infrastrutture, dell'agricoltura, del turismo, delle attività industriali, della formazione umana e civile. E' consolidata nella storiografia una suddivisione in cinque fasi della vita della Cassa. Questa periodizzazione è segnata da alcuni essenziali provvedimenti legislativi. La prima fase terminò nel 1957 quando la legge 29 luglio 1957, n. 634 "Provvedimenti per il Mezzogiorno", oltre ad aumentare sensibilmente le risorse disponibili portandole a oltre 2 miliardi di lire, inaugurò la stagione dell'incentivazione agli impianti di natura industriale. Il dibattito che precedette e seguì l'emanazione della legge era centrato sull'insufficienza della prospettiva agraria per la rinascita del Sud e il minore impatto rispetto al previsto delle opere pubbliche infrastrutturali come volano dell'economia privata. Già la legge 298 del 1953 aveva introdotto norme sul credito industriale a medio termine a condizioni di vantaggio. Ora, oltre ad ampliare le attività della Cassa a nuovi settori (aziende artigiane, settore della pesca, beni culturali, attività di formazione e costruzione di scuole), si puntò decisamente a finanziare la costituzione di aree di sviluppo o di nuclei di industrializzazione (con un ruolo preminente degli enti locali) e la concessione di contributi in conto capitale a favore di piccole e medie imprese, o anche grandi purché localizzate nei centri di sviluppo. Successive leggi del 1955 e del 1962 allargarono la platea dei beneficiari e aumentarono la quota degli investimenti coperta dal contributo pubblico. Infine si finanziò il differenziale tra i tassi di mercato e quelli agevolati concessi ai sottoscrittori di mutui per l'impianto di iniziative industriali o il loro ampliamento. La terza fase della vita della Cassa per il Mezzogiorno inserisce a pieno titolo l'attività meridionalistica dell'ente nell'ambito più vasto della programmazione economica nazionale. La legge 26 giugno 1965, n. 717, "Coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno per il quinquennio 1965-1969", rappresentava il prevalere degli economisti e dei politici "programmatori" (due su tutti, Pasquale Saraceno e Ugo La Malfa), originali interpreti di una visione mista pubblico-privata dell'economia nazionale, in cui alla mano pubblica spettava un ruolo di coordinamento delle iniziative di stimolo facendo riferimento a un Programma economico nazionale (la cui prima versione divenne legge a metà del 1967). Si cercò di gestire al meglio la tendenza dispersiva e autonomista che le singole amministrazioni tendevano ad avere creando centri di potere diffusi e diseconomici. La Cassa era, inoltre, venuta accrescendo i suoi compiti, anche in ragione di una obiettiva necessità di surroga delle funzioni proprie dell'amministrazione ordinaria dello Stato contraddicendo il principio ispiratore dell'intervento straordinario come aggiuntivo e non sostitutivo. Questo accresciuto ruolo (che vide in Pescatore il manager indiscusso) si era tradotto in un veloce ampliamento degli organici, delle disponibilità finanziarie, del potere di indirizzamento, ma anche del prestigio nazionale e internazionale, proprio in funzione dell'autonomia che la Cassa godeva, delle sue procedure snelle e del consolidarsi in essa e nel suo indotto di un ceto di tecnici e tecnocrati, ispirati al servizio pubblico, interlocutori attivi della classe politica e lontani dalle pastoie ministeriali. La riforma legislativa del 1965 segnò anche un punto di cesura per questo tipo di Cassa. Nello stesso tempo la sua attività fu prorogata al 1980. Il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) divenne il dominus pubblico dell'intervento ordinario e straordinario, assorbendo al suo interno il Comitato dei ministri creato nel 1950. Il presidente di tale comitato assurse al ruolo di ministro per l'intervento straordinario nel Mezzogiorno con importanti compiti di direzione e controllo di tutto l'intervento straordinario e di garante del coordinamento delle attività di tutti gli organismi coinvolti nell'intervento straordinario alla luce dei piani di coordinamento decisi dal governo (il primo fu quello del 1966, seguito poi da quello del 1970). I ministri che si succedettero nella carica interpretarono pienamente lo spirito della svolta del 1965 reclamando alla politica l'intero processo decisionale e cercando, non senza contrasti, di relegare a mero esecutore tecnico l'apparato, sempre più elefantiaco, della Cassa per il Mezzogiorno. In alcune materie, come quella delle autorizzazioni all'erogazione dei crediti, il nuovo atteggiamento portò di fatto all'annullamento anche dei compiti tecnici di istruttoria. La ratio principale della riforma del 1965 fu, però, quella di concentrare in alcune aree la spesa pubblica di infrastrutturazione e incentivazione. Si definirono in ambito CIPE comprensori territoriali all'interno dei quali favorire uno sviluppo integrato tra i diversi settori produttivi ridefinendo le quote della contribuzione pubblica, il tipo di interventi ammessi al finanziamento, i tassi dei mutui e simili. La quarta fase coincide con il passaggio istituzionale dell'avvio delle Regioni a statuto ordinario, un momento storico di nuova dislocazione degli equilibri di potere tra centro e periferie, amministrazioni statali e amministrazioni locali, vecchie e nuove burocrazie, vecchi e nuovi ceti politici. La legge 6 ottobre 1971, n. 853, "Finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno per il quinquennio 1971-1975 e modifiche e integrazioni al Testo Unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno" trasferì alle amministrazioni periferiche una serie di attribuzioni nella formulazione e nell'attuazione dell'intervento straordinario, nei campi della programmazione urbana, dei trasporti locali, delle strade e opere pubbliche di interesse regionale, del turismo, dell'artigianato, dell'agricoltura e foreste: attribuzioni prima spettanti ai ministri per il Mezzogiorno, dell'industria e dei lavori pubblici, nonché al CIPE, cui furono affidati poteri di direttiva e di coordinamento tra intervento ordinario e straordinario, in particolare nel definire le scelte sia settoriali che territoriali in materia di politica industriale. Le Regioni furono coinvolte nei processi decisionali, spesso ingolfandoli. Un Comitato dei presidenti dei governi regionali, nell'ambito del Ministero del bilancio e della programmazione economica, aveva voce in capitolo nelle questioni di competenza della Cassa e poteva chiederle di eseguire opere progettate in ambito regionale sfruttando le competenze accumulate. Le nuove linee guida della politica meridionale furono due: un parziale ripensamento della concentrazione degli interventi in determinate aree nel tentativo di concentrare le attività laddove fosse debole la propensione naturale all'innesco di un ciclo economico produttivo, anche per contenere lo spopolamento delle aree interne allora fortissimo; e uno spostamento della spesa pubblica di incentivazione e contribuzione in conto capitale alle imprese piccole e medie. La vera novità di questa fase fu l'avvio dei cosiddetti "progetti speciali di interventi organici", di natura intersettoriale e interregionale e orientati alla realizzazione di grandi infrastrutture generali o volte a facilitare lo sviluppo delle attività produttive; all'utilizzazione e la salvaguardia delle risorse naturali e dell'ambiente; all'attuazione di complessi di opere e servizi relativi all'attrezzatura di aree metropolitane e di nuove zone di sviluppo; ad alcune iniziative organiche per l'espansione di attività economiche in specifici territori o in particolari settori produttivi. Essi vedevano il coinvolgimento delle Regioni per la formulazione dei progetti. Impostati dalla legge del 1971 videro il loro pieno sviluppo con la legge 183 del 1976 di cui si dirà poco oltre. I progetti furono di diverso tipo: "schemi idrici intersettoriali" riguardanti l'utilizzazione dell'acqua per usi potabili, irrigui ed industriali; un progetto speciale per il disinquinamento del Golfo di Napoli; progetti di "attrezzatura del territorio" con rilevanti finalità di sviluppo anche industriale (rientrarono in questo gruppo i progetti per le aree metropolitane di Palermo e di Napoli); i cosiddetti "progetti promozionali" (sviluppo dell'irrigazione, della zootecnia, dell'agrumicoltura, della forestazione a scopi produttivi; riequilibrio delle zone interne del Mezzogiorno; commercializzazione dei prodotti, soprattutto agricoli; ricerca scientifica applicata); infine altri progetti speciali, come i grandi itinerari turistici, culturali ed ambientali del Mezzogiorno e alcune aree fortemente urbanizzate, oltre quelle di Napoli e Palermo. L'ultima legge organica che regolò la vita della Cassa fu la legge 2 maggio 1976, n. 183, "Disciplina dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno per il quinquennio 1976-1980" (e il successivo Testo Unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno emanato con DPR 6 marzo 1978, n. 218). Dalla normativa esce quello che Emanuele Felice ha definito "un disegno generale di intervento straordinario piuttosto complesso, incentrato su un piano quinquennale che, oltre a enunciare gli obiettivi generali e specifici e i loro effetti sull'occupazione, sulla produttività e sul reddito, indica e descrive i progetti speciali, le direttive generali e le priorità per i diversi settori, nonché le dimensioni finanziarie dei vari interventi". Il ciclo economico critico (crisi petrolifera, inflazione, disoccupazione) condiziona fortemente le politiche pubbliche e il tentativo di indirizzare al Sud investimenti pubblici e privati per contenere il divario di reddito che tornava ad allargarsi dopo un ciclo positivo. La legge 183 istituzionalizzò il controllo politico sulla programmazione e sull'attuazione dell'intervento straordinario, attraverso un apposito organismo parlamentare (Commissione interparlamentare) nel quale dette prova di sé la maggioranza di governo allargata al Partito comunista italiano. Fu altresì normato un coordinamento fra Stato e Regioni intorno alla formazione delle decisioni, attraverso un apposito organismo rappresentativo dei consigli e delle giunte regionali. Furono ulteriormente definiti i compiti riservati al ministro per il Mezzogiorno nelle varie fasi decisionali, di attuazione e di controllo. L'intervento della Cassa si concentrò sui progetti speciali e sulle opere di completamento dei progetti da trasferire alla competenza regionale, ma nella realtà continuò il costante ampliamento del campo d'azione, essendo richiesto alla Cassa, come enorme centro di spesa, di fare politiche anticicliche in collaborazione (ma spesso in disaccordo) con le amministrazioni regionali. Particolare rilevanza per la Cassa ebbe la legge 12 agosto 1977, n. 675, relativa agli incentivi agli investimenti di ristrutturazione aziendale. La legge 183 coincise con l'uscita di scena di Gabriele Pescatore, di gran lunga la figura più importante della storia della Cassa per il Mezzogiorno. Ai consiglieri di Stato subentrarono al comando uomini pur valorosi ma fortemente legati ai massimi esponenti politici democristiani o socialisti. Gaetano Cortesi, manager pubblico di lungo corso, fu probabilmente il testimone principale dell'involuzione definitiva della Cassa, che cercò di contrastare introducendo modalità operative tipiche del management privato e scontrandosi con quella che chiamò "una crescente esigenza di legittimità, tipica della Amministrazione pubblica", lontana dallo spirito orgogliosamente autonomo della prima Cassa. Il processo di riforma dei regolamenti interni, iniziato dal predecessore Servidio a fine 1977 ma cui impresse un'impronta nuova e che incontrò fortissime resistenze interne, si concluse di fatto all'inizio del 1980, evento ben strano per un ente che doveva chiudere il 31 dicembre di quello stesso anno. Ma l'incertezza politica sul futuro dell'intervento pubblico nel Sud e l'oggettivo interesse di molte parti di governo e sottogoverno a gestire un'agenzia di notevole impatto economico e politico fecero sì che la Cassa entrasse in una fase stanca e caratterizzata anche da episodi di malgoverno. Il termine di scadenza venne prorogato diverse volte fino a quando nell'aprile 1984 il Parlamento negò l'ennesima proroga. E' del 6 agosto 1984 il decreto del Presidente della Repubblica "Soppressione e liquidazione della Cassa per il Mezzogiorno". Si entrò in una fase di commissariamenti gestiti principalmente da Giovanni Travaglini e per le cui vicende specifiche si rimanda alle introduzioni alle singole serie e sottoserie. Da quella vicenda durata circa due anni emerse un'altra legislazione specifica sull'intervento straordinario che fu incardinato alla nuova Agenzia per la promozione dello sviluppo del Mezzogiorno, istituita con la legge 1 marzo 1986, n. 64, "Disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno". [a cura di Leonardo Musci] |
ordinamento e struttura | La parola "archivio" ricorre decine di migliaia di volte nei documenti della Cassa per il Mezzogiorno. La dizione "Archivio Cassa" (per esteso o più frequentemente in sigla AC) è presente sulla gran parte delle comunicazioni e delle delibere relative ai progetti finanziati dall'ente. L'assegnazione di un numero, o meglio di un codice numerico o alfanumerico, ai progetti pervenuti alla Cassa da enti concessionari o preparati dalle strutture interne stava a significare l'assunzione al protocollo speciale dei progetti "Archivio Cassa" degli elaborati tecnici e del carteggio relativi all'opera da realizzare. L'analisi di dettaglio delle delibere del Consiglio di amministrazione ci permette di affermare con una certa sicurezza che i protocolli e il sistema di assegnazione dei codici furono inaugurati o definitivamente perfezionati alla fine del 1954 con l'arrivo alla Presidenza di Gabriele Pescatore. Ma purtroppo uno strumento così centrale nella gestione documentale della Cassa non ci è pervenuto: impossibile dire se tali protocolli siano andati dispersi nelle dismissioni delle varie sedi e nei trasferimenti di carte dopo il 1986 o se siano stati scartati in corso d'opera dopo l'avvio dell'attività di microfilmatura sostitutiva di cui si dirà più avanti. Avrebbero potuto supplire gli archivi generali dei singoli Servizi, di cui dobbiamo invece lamentare in buona parte la perdita, fatta eccezione per alcune importanti carte del Servizio Bonifiche e trasformazioni fondiarie. Nei limiti delle indagini fin qui svolte, e che ci si augura la ricerca archivistica e storica abbia margine di superare, non sono stati reperiti documenti di contesto sulla formazione dei criteri di codificazione (rapporto tra sigle e linee di finanziamento, numerazioni univoche interne alla singola sigla o indifferenti alle sigle, significato delle lettere e dei numeri usati come specifiche di lotti o sottoprogetti e simili), elemento essenziale per poter identificare tutte le delibere relative allo stesso progetto. Durante il lavoro di ordinamento e inventariazione svoltosi tra 2014 e 2015 si è, tra l'altro, proceduto a una ricostruzione deduttiva di questo apparato di codificazione. Si è partiti da questa vicenda per evidenziare subito che l'archivio CasMez pervenutoci è un archivio largamente lacunoso. Sembra quasi ironico dirlo in presenza di chilometri di carte. Ma l'affermazione riguarda non tanto le poderose serie numeriche delle pratiche operative (opere di bonifica e sistemazione idraulica, costruzione di acquedotti, migliorie fondiarie, contributi industriali, incentivi ai settori dell'artigianato, della pesca e del turismo, revisioni prezzi e altre serie "minori") quanto i già menzionati archivi dei Servizi o Ripartizioni (nomi che nel tempo assunsero le strutture di primo livello) e soprattutto una consistente parte delle carte di Presidenza e Direzione generale, verosimilmente di rilievo: basti dire che non si conservano velinari della corrispondenza delle presidenze Rocco e Pescatore o i loro carteggi con il Comitato dei ministri per il Mezzogiorno e poi con il ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno (sappiamo dai protocolli che questa corrispondenza produsse circa 85.000 documenti nell'arco di quasi 40 anni). Le lacune sono significative per gli anni dal 1950 al 1975, meno gravi per il periodo successivo, sia per un naturale maggior tasso di sopravvivenza dovuto all'età delle carte che in ragione delle due riforme del "Regolamento generale di organizzazione e funzionamento" (1978 e 1979) e di alcune iniziative in materia del presidente Gaetano Cortesi che produssero una sorta di anno zero per alcune rinnovate serie archivistiche e precise disposizioni per la loro conservazione. Come d'uso negli archivi dove alcuni documenti strategici vengono prodotti in molte copie per finalità d'ufficio, alcune lacune seriali sono compensate dalla presenza di questi documenti nelle singole pratiche: caso emblematico quello delle cosiddette "monografie", cioè le istruttorie preparate dai Servizi per il Consiglio di amministrazione, miniera di informazioni analitiche sulle realtà economiche sulle quali la Cassa interveniva e allo stesso tempo specchio dell'alto livello tecnico dei loro estensori (questi documenti si trovano nei fascicoli degli Atti delle sedute degli organi deliberanti, serie cui si rimanda per maggiori dettagli). Diversi fattori hanno contribuito a generare la situazione che in breve si è descritta: trasferimenti di sedi e scarti incontrollati, disorganizzazioni interne, ordinamenti e microfilmatura sostitutiva con perdita dei supporti fotografici, scarti ordinari e cessioni di parti d'archivio per motivi istituzionali. Analizziamoli più da vicino. Di trasferimenti di sedi ce ne sono stati non pochi nel corso della storia della Cassa a causa della continua espansione delle attività istituzionali almeno fino alla metà degli anni Settanta. Alcune tracce ci mostrano che i traslochi, sia verso altri edifici che all'interno della sede, erano anche occasione per procedere a distruzioni di materiale di cui, però, non conserviamo alcun riscontro di metodo e di merito. Il 3 marzo 1957, mentre gli uffici abbandonavano la prima sede di via Aniene per quella dell'EUR (palazzo dell'INA), un ordine di servizio proveniente dall'Ufficio Economato raccomandò genericamente di accantonare il carteggio che in occasione dello sgombero "dovesse eventualmente destinarsi al macero" e addirittura di isolare "quel carteggio che riveste particolare importanza per la sua riservatezza e che debba altresì distruggersi". Un caso analogo avvenne nel maggio 1966. E ancora nel marzo 1977 la Direzione generale lamentava "difficoltà di reperimento [e] smarrimenti". Ma sono stati rilevati anche richiami a vigilare contro smarrimenti di documenti nei frequenti passaggi da un ufficio a un altro o notizie relative a perdite di documentazione a seguito di operazioni di ordinamento (come avvenne nell'aprile 1978 per alcune pratiche dei contributi alla pesca). Ma appare evidente che la questione centrale è legata ad alcune operazioni di riorganizzazione del sistema archivistico interno negli anni Sessanta, all'introduzione di livelli di automazione e all'avvio del processo di informatizzazione nella prima metà dei Settanta. Per arrivare al punto occorre descrivere il modo in cui si era andato strutturando il funzionamento dell'archivio, o meglio degli archivi, della Cassa a partire dai suoi primi mesi di vita. La prima istruzione organica (23 gennaio 1951) riguarda la ordinata redazione della corrispondenza: non genericità dell'oggetto, definizione delle sigle per ogni Servizio o Ufficio, piccole regole di diplomatica applicata. Sono questioni che più volte saranno riprese negli ordini di servizio nel corso dei 35 anni di vita dell'ente e sulle quali non vale la pena soffermarsi se non per dire che vi fu una costante attenzione alle ordinate procedure di stesura dei documenti, alla loro chiarezza e precisione (nel settembre 1962 il direttore generale Francesco Coscia lamentò l'uso troppo frequente nella corrispondenza di "espressioni generiche concernenti indicazioni di tempo" e invitava a sostituirle con "riferimenti a date precise"). Ma, tornando alle prime istruzioni, ancora più importante, e quasi da citare per intero, la lettera che in pari data precede quella tecnica, scritta in prima persona dal giovane primo direttore generale della Cassa, l'avv. Alfredo Scaglioni (morto poi prematuramente nell'agosto 1952) "sull'importanza di un perfetto funzionamento dell'archivio nell'interesse di tutti i Servizi". Dopo soli tre mesi dall'inizio delle attività, e verosimilmente con un archivio ancora modesto, Scaglioni invitava a considerare l'archivio uno "strumento di lavoro" e non un "inutile intralcio", metteva in guardia dal pericolo della "moltiplicazione degli archivi" e paventava la dispersione delle pratiche in ufficio e la perdita del loro controllo da parte degli impiegati dell'archivio generale. Anche in questo caso i concetti di Scaglioni verranno ripetuti negli anni a più riprese e a fronte di dimensionamenti cartacei di tutt'altra mole. Fra i primissimi atti del neo presidente Pescatore nel novembre 1954 vi fu l'accentramento alla Segreteria della Presidenza del potere di smistamento della corrispondenza "anche se recapitata ai singoli Servizi od Uffici"; questa avrebbe provveduto ad assegnare le lettere per competenza. Insieme a questo dettaglio documentale Pescatore impose ai capiservizio di non avere rapporti diretti con ministeri, autorità, enti, istituti ed altri organi esterni, competenza spettante al solo presidente salvo specifiche deroghe. Queste tendenze centripete degli uffici furono una costante della storia della Cassa che si riverberò nelle questioni di archivio. Gli ordini dall'alto, sebbene in un sistema fortemente gerarchizzato e in un tempo di naturale rispetto dell'autorità, non avevano sempre immediata esecuzione: Pescatore dovette più volte richiamare all'osservanza delle norme e arrivare a minacciare provvedimenti, come avvenne nel luglio 1956 proprio sul potere di smistamento della corrispondenza, evidentemente in parte disatteso (un caso analogo, non relativo all'archivio, ma sintomatico di un clima e di un lento mutamento di costumi, riguardò il richiamo alle lavoratrici di indossare in servizio un grembiule nero: istruzione dettata nell'agosto 1951 e poi replicata nel novembre 1952, dicembre 1953, maggio 1954, febbraio 1959 e, per l'ultima e quasi sicuramente inutile volta, nel gennaio 1963). L'avvento di Pescatore coincise con il vero decollo operativo della Cassa. I locali per gli uffici non erano sufficienti a contenere tutto il personale e furono occupate diverse sedi con la conseguenza di separare fisicamente uffici prima contigui. Fu evidente che non era possibile gestire tutto con un solo archivio generale e nel dicembre 1954 vennero ufficialmente istituiti cinque archivi, ognuno con protocollazione autonoma. Uno ciascuno per i quattro Servizi (Bonifiche e trasformazioni fondiarie; Acquedotti e fognature; Viabilità e costruzioni civili; Credito, industria, finanza e turismo o CIFT) più uno denominato Generale cui facevano capo Presidenza, direzione generale e tutti gli altri uffici. Quando all'inizio del 1957 la Cassa si trasferì all'EUR venne a cessare questa esigenza e tutto tornò ad essere gestito da un unico Archivio, comunque organizzato in sezioni che ricalcavano la vecchia divisione. Nel marzo 1958 fu istituito il nuovo Servizio Affari generali e del personale mentre nel giugno 1959 il vecchio Servizio CIFT fu diviso in due Servizi (Credito e finanza; Industria, artigianato, pesca, turismo ed edilizia scolastica). Quest'ultimo provvedimento fu la naturale conseguenza della legge 634 del 1957 che investiva la Cassa per il Mezzogiorno dei compiti di incentivazione all'infrastrutturazione industriale e di erogazione di credito alle imprese. Furono la svolta industrialista, il costante incremento delle opere pubbliche nei settori della bonifica e degli acquedotti e l'avvio dei cosiddetti distretti di trasformazione integrale (DTI) che fecero mutare radicalmente il dimensionamento dell'apparato amministrativo della Cassa. La velocità con cui questo avvenne ebbe ricadute negative sull'efficienza del servizio archivistico. Circolari e ordini di servizio documentano questi disagi con periodici richiami all'ordine e lamentele sul fatto che gli uffici restituiscono all'Archivio generale pratiche "in disordine e, talvolta, in condizioni di grave logorio" (ottobre 1958). In questo clima maturò alla fine del 1960 l'idea di affidare a una società di consulenza, il Gruppo Diebold Italia (filiale di una antica società americana), uno studio della organizzazione amministrativa della Cassa che prevedesse proposte di razionalizzazione operativa. Per quasi tutto il 1961 gli esperti della Diebold frequentarono gli uffici della Cassa e all'inizio del 1962 presentarono le loro proposte, solo parzialmente accolte dall'Ufficio Affari generali e poi dal Consiglio di amministrazione. Fu in questa occasione che si introdusse un salto di qualità nella dotazione tecnologica dell'Ufficio Statistico meccanografico con l'acquisto di un apparato di avanguardia come il complesso della Serie 300 TI della Olivetti Bull. Qui interessano più da vicino le proposte che coinvolsero il servizio d'archivio e che trovarono formalizzazione in un paragrafo ("Organizzazione e funzionamento dell'Archivio generale") di un ordine di servizio del 26 aprile 1962. Oltre a fungere da vero e proprio regolamento, con il solito strascico nei mesi seguenti di richiami al rispetto delle disposizioni, vengono minuziosamente elencate le macchine di cui verrà dotato l'archivio, tra cui un nuovissimo "schedario differenziale simultaneo per la rapida ricerca di pratiche e documenti", e si norma per la prima volta l'impianto di un servizio di microfilmatura per rendere più facilmente consultabili e riproducibili alcune tipologie documentarie (protocolli, velinari, domande di assunzione) di data anteriore al 1° gennaio 1960. L'opera di razionalizzazione interna si concluse in questa fase con una nuova strutturazione dei Servizi e Uffici che divenne operativa nel luglio 1963. Oltre ad uffici facenti capo alla Presidenza o alla Direzione generale (Pubbliche relazioni, Stampa e Centro Studi) i Servizi, a loro volta suddivisi in uffici, erano: Acquedotti e fognature, Viabilità e costruzioni civili, Ragioneria, Ispettorato, Affari generali e contratti, Personale e organizzazione, Bonifiche e trasformazioni fondiarie, Piani e programmi, Istruzione professionale, edilizia scolastica e fattore umano, Credito e finanza, Industria e Turismo, artigianato, pesca. Fu tra 1966 e 1968 che si organizzò un sistema organico di microfilmatura, anche sostitutiva. Da una relazione del Servizio Affari generali e contratti del 4 marzo 1966 (Atti delle sedute degli organi deliberanti, b. 648, Seduta del 23 marzo 1966) apprendiamo che l'attività iniziata nel 1962 non era andata al di là del carattere sperimentale per limitatezza di mezzi tecnici ed eccessiva ristrettezza del campo di azione. Il problema si poneva ora in via di urgenza dal momento che si era esaurita la capacità ricettiva dell'Archivio generale con il conseguente blocco dei versamenti dei carteggi dei singoli Servizi: "centinaia di pratiche debbono essere tenute addirittura sui pavimenti, in precarie condizioni di conservazione e di ordine e con problematiche possibilità di un celere e sicuro reperimento". La situazione descritta va rapportata al notevole incremento delle attività della Cassa nei primi anni Sessanta e a una insufficiente gestione del problema archivio nel rapido incedere dell'operatività quotidiana. Bisogna sempre ricordare che la Cassa non solo svolgeva un intervento definito "straordinario" ma era essa stessa un ente "a termine" poiché la legge ne fissava la durata. Quando questa nel 1965 fu prorogata di un quindicennio, portando la scadenza al 31 dicembre 1980 (nella logica non nuova all'Amministrazione statale della provvisorietà che tende a diventare permanente), e nello stesso tempo la normativa di riforma dell'intervento (legge 717 del 1965) fissò nuove competenze, soprattutto in ambito industriale, emerse chiaramente che il problema dell'archivio andava affrontato in modo deciso. In puro "stile Cassa" fu questa l'occasione per una reprimenda contro il "concetto usitato di archiviazione e protocollazione" che doveva essere superato dalle "caratteristiche di centralizzazione e di moderno dinamismo che distinguono il lavoro della Cassa". La soluzione era individuata nell'adozione su larga scala della tecnica fotografica e nella distruzione di una parte della documentazione microfilmata. Si individuava nella Remington la ditta di fiducia e si prevedeva un investimento iniziale di 65 milioni (circa 750.000 euro attuali) che venivano deliberati per le vie brevi a favore della Remington a fine luglio 1966. La fase di impianto e di formazione del personale, spesso restio ad abbandonare i vecchi metodi e quindi non così dinamicamente moderno, durò un anno. Questo provvedimento si inseriva in una politica di forte investimento sulla meccanizzazione dei servizi, affidata alla IBM e che portò nel dicembre 1970 all'istituzione del Servizio Organizzazione ed elaborazione dati, e alla contemporanea ricerca dei modi migliori per snellire le procedure e velocizzare l'esecuzione delle opere, come richiedeva il ceto di governo in funzione anticiclica. In questo contesto è interessante notare il contributo di idee che venne da alcuni capiservizio e in particolare dal prof. Paolo Vicinelli, capo del servizio Piani e programmi, che in una lettera del 7 novembre 1967 alla Direzione generale tracciò un bilancio negativo della politica di potenziamento delle strutture tecniche degli enti concessori (consorzi di bonifica, consorzi industriali, amministrazioni provinciali e altri), sempre perseguita dalla Cassa. Vicinelli individuava nel troppo basso livello tecnico e direttivo del personale periferico uno dei motivi delle lentezze e preconizzava un accentramento alla Cassa dell'esecuzione diretta dei lavori sul modello di quanto era avvenuto fin da subito nel settore degli acquedotti. Egli richiamava l'esempio di "agenzie delle Nazioni Unite operanti in zone particolarmente difficili". Per la prima volta nel novembre 1967, dovendosi deliberare sulla nomina di una commissione preposta ad autorizzare l'incenerimento degli atti microfilmati, si cita in un documento CasMez la legge archivistica del 1963 e l'amministrazione degli Archivi di Stato. Non si coglie dal testo dell'appunto per il Consiglio di amministrazione preparato dal Servizio Affari generali e contratti (in Atti delle sedute degli organi deliberanti, b. 744, 22 novembre 1967) se gli archivisti di Stato siano stati coinvolti nell'impianto di quelli che vengono definiti "elettro-archivi" e nella (vaga) determinazione di "uno schema che renda agevole e possibilmente uniforme il sistema di attuazione e ricerca". Di certo non furono coinvolti nella distruzione della prima serie di velinari di cui c'è traccia a seguito della loro microfilmatura. Iniziò in quel frangente un'opera di riordinamento di migliaia di fascicoli in funzione del loro passaggio al microfilm con ricerca presso i Servizi di documenti mancanti ma anche "revisione scrupolosa e capillare delle pratiche" e "razionale accostamento del carteggio affine", frasi che emanano un che di ambiguo per la nostra sensibilità antiperoniana. Il 15 dicembre 1967 il Consiglio di amministrazione della Cassa deliberò la nomina della commissione di cui sopra, commissione della quale non ci sono pervenute le verbalizzazioni delle decisioni e gli elenchi di scarto. Il nuovo sistema, di cui non conosciamo i dettagli, fu argomento all'inizio del 1972 di un "questionario per gli utenti dell'archivio", molto ben fatto. Attraverso un cospicuo numero di domande si testavano l'uso degli archivi da parte dell'intervistato, il tipo di informazioni richieste, il gradimento e le critiche all'organizzazione e al funzionamento degli archivi. Nulla sappiamo purtroppo sui risultati del questionario, verosimilmente elaborati da strutture specialistiche esterne. A metà degli anni Settanta la Cassa entra nella sua ultima fase, caratterizzata dal passaggio dall'intervento territorialmente indistinto a quello intersettoriale dei progetti speciali (istituiti già nel 1971 ma operativi a partire dal 1975 circa) e dalla dismissione di opere e lavori a favore delle Regioni. Il primo aspetto creò nuovi archivi, il secondo produsse cessione di archivi. Questo radicale cambiamento della prospettiva anche politica, con la Cassa "ridotta" a organo tecnico meramente esecutivo della volontà politica, vide l'uscita di scena di alcuni degli uomini che si erano identificati con la prima Cassa, quella più autonoma del primo quindicennio, e avevano poi gestito la fase di transizione alla seconda. A fine 1976 si dimise (o, a suo dire, fu dimesso dal governo Andreotti) Gabriele Pescatore e scadde il mandato di alcuni consiglieri della sua guardia, sostituiti da esponenti più direttamente legati all'establishment politico. Questi mutamenti, indotti anche dalla legge 183 del 1976, ebbero una diretta ricaduta sull'organizzazione interna della Cassa che fu riformata tre volte nel gennaio 1978, tra febbraio e aprile 1979 e nel febbraio-marzo 1980, di fatto in prossimità della sua scadenza al 31 dicembre 1980, poi prorogata in più riprese fino all'aprile 1984. Si possono seguire nel dettaglio queste vicende consultando le carte dei due presidenti Alberto Servidio e Gaetano Cortesi, alle cui introduzioni si rimanda. L'organigramma definito nel 1980, e che in sostanza resse fino alla fine e in parte sopravvisse in Agensud, era basato sull'attivazione dei Dipartimenti regionali con 40 uffici periferici per i rapporti e il coordinamento con le Regioni per il completamento di opere e il loro trasferimento alla responsabilità regionale; e su una struttura centrale articolata su dieci Ripartizioni (le prime tre per gestione dei Progetti speciali, rispettivamente idrici, territoriali e promozionali; Sviluppo industriale; Attività regionali; Servizi generali; Servizi tecnici e di programma; Unità di ingegneria; Studi e ricerche; Coordinamento regionale). Le Ripartizioni erano articolate in Divisioni. L'elenco completo si trova nella delibera del Consiglio di amministrazione del 27 marzo 1980, n. 1061/SG. Abbiamo poche notizie sul servizio di archivio in questi ultimi anni, cosa paradossale in presenza di documentazione generalmente meno lacunosa che nel primo ventennio. Nel maggio 1979, dopo l'approvazione del secondo Regolamento generale, il nuovo direttore generale Gerolamo Colavitti costituì un gruppo di lavoro per la riorganizzazione del settore archivi "mediante l'introduzione di nuove metodologie, di una moderna meccanizzazione ed una diversa e più adeguata sistemazione dei locali disponibili". Ma non si è reperito alcun seguito di questa iniziativa, che sicuramente doveva essere documentata nell'archivio della Ripartizione dei servizi generali. Ultimo elemento di rilievo sono le disposizioni sulla microfilmatura non sostitutiva della corrispondenza in arrivo e partenza, entrata in vigore il 1° febbraio 1980 insieme alla contestuale abolizione dei registri di protocollo. Questo sistema venne esteso agli uffici periferici nel giugno 1983. Non abbiamo cognizione di quante bobine di microfilm, sia 16 che 35 mm, furono prodotte dal 1962 in poi. Attualmente l'archivio non ne conserva alcuna. Testimonianze orali riferiscono di obsolescenze finali delle macchine per la riproduzione e di certo non ha aiutato la scarsa sensibilità per una conservazione di tipo storico di supporti che già al tempo erano sottoposti a forti usure. Dopo il biennio commissariale e liquidatorio 1984-1986 l'archivio Casmez fu gestito in continuità dalla nuova Agensud. Quando la legge 488 del 1992 pose definitivamente termine all'esperienza storica dell'intervento straordinario dello Stato nel Mezzogiorno d'Italia, iniziò una gestione commissariale ulteriore ed emerse il problema del destino degli oltre 50 chilometri di carte dell'archivio Casmez-Agensud. Ma su questa vicenda, seguita prima dagli organi di vigilanza della Direzione generale degli archivi, dal 1997 da un Gruppo di lavoro interministeriale e infine dal 1999 da un commissario ad acta, non si può che rimandare all'esauriente saggio di Agostino Attanasio, L'archivio della soppressa Agensud: una prima cronaca delle sue vicende e all'Intervista all'arch. Giovanni Rabito, commissario straordinario di Governo per la sistemazione del patrimonio archivistico della Cassa a cura di Paola Puzzuoli, pubblicati in La Cassa per il Mezzogiorno. Dal recupero dell'archivio alla promozione della ricerca, Quaderni SVIMEZ (numero speciale 44), Roma 2014, rispettivamente alle pagine 71-81 e 363-375. [a cura di Leonardo Musci] |